PER UNO SCIOPERO GENERALE PROLUNGATO Continuiamo in Cgil e nella Fiom la battaglia per il sindacato di classe L’attacco padronale non conosce mezze misure. Sono milioni i lavoratori destinati, a breve, a diventare dei disoccupati. Similmente, centinaia di migliaia di precari del pubblico impiego, dei servizi, della scuola sono in attesa della scadenza di quello che sarà, probabilmente, l’ultimo dei loro contratti a tempo determinato. Al Sud, la morte del malato è, in molti casi, già arrivata: sono decine di migliaia i precari che, nel giro di due anni, hanno perso il posto di lavoro. I lavoratori immigrati, più di tutti, subiscono la violenza di questo sistema economico: senza contratto un lavoratore immigrato è oggi un clandestino; ma il lavoro non c’è e quindi non esiste alcuna possibilità concreta di sfuggire a un destino di miseria e clandestinità. Soprattutto, per le giovani generazioni non esiste possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. La radicalità delle lotte studentesche degli ultimi mesi ha una base materiale che, nelle statistiche ottimistiche dei sondaggi dell’Istat, si esplica in percentuali di disoccupazione giovanile ormai superiori al 30%. A questo 30% vanno aggiunti i milioni di giovani che hanno rinunciato in partenza all’iscrizione agli uffici di collocamento e che, quindi, non compaiono nei sondaggi. La verità è che due giovani su tre non hanno lavoro, molti altri devono accontentarsi di contratti ultraprecari a poche centinaia di euro al mese. In questo quadro s’inserisce lo smantellamento del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro con l’accordo separato del 22 gennaio 2009. Già fortemente limitata dalle leggi precarizzanti note con il nome di “Pacchetto Treu” e “Legge Biagi”– leggi bipartisan che hanno aperto la strada al più selvaggio sfruttamento della forza lavoro al di fuori di qualsiasi regolamentazione – oggi la contrattazione collettiva rischia di diventare carta straccia. Ma se Cisl, Uil e Ugl svolgono il ruolo di quinte colonne del governo Berlusconi nell’affondo contro la classe lavoratrice, è altrettanto vero che l’accordo raggiunto tra questi sindacati gialli e la controparte padronale riproduce in gran parte lo stesso canovaccio che la direzione Cgil, ai tempi del governo Prodi, aveva contribuito a elaborare. Non a caso, se la direzione Cgil formalmente non rivendica l’accordo firmato da Cisl, Uil e Ugl, di fatto lo ha recepito firmando la stragrande maggioranza dei contratti di categoria. Gli attacchi sono arrivati a ripetizione: dal collegato lavoro, alle leggi Brunetta sul lavoro pubblico, agli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori, e ancora l’ennesimo accordo separato per i lavoratori pubblici del 4 febbraio 2011. Liberarsi del “tappo” delle burocrazie sindacali In questo panorama deleterio risalta il ruolo delle burocrazie del maggiore sindacato italiano. La Cgil in occasione dello sciopero dei metalmeccanici del 28 gennaio ha mostrato il vero volto della sua “falsa opposizione” alle politiche concertative di governo, padronato e sindacati gialli. Il rifiuto di trasformare lo sciopero del 28 gennaio in sciopero generale di tutte le categorie dimostra come il vero obiettivo della maggioranza dirigente della Cgil sia quello di ritornare al tavolo della concertazione. Sul versante dei metalmeccanici, se la direzione della Fiom si è correttamente opposta ai diktat della Fiat, tuttavia non ha coerentemente sviluppato la battaglia. Mentre a Mirafiori Landini si opponeva a Marchionne, a pochi chilometri di distanza (come all’Embraco di Chieri) accordi analoghi venivano sottoscritti anche dalla Fiom. Similmente i dirigenti della Fiom sottoscrivono in moltissime aziende accordi che prevedono il ricorso alla cassa integrazione e ad altri ammortizzatori sociali (come i contratti di solidarietà) che servono solo a rimandare i licenziamenti e a scaricare sui lavoratori i costi della crisi. La stessa rivendicazione dello sciopero generale rischia di ridursi a uno slogan privo di contenuti se non si tradurrà in azioni concrete per costruirlo dentro e fuori la Cgil. Le titubanze e i tatticismi sono un altro segnale del fatto che anche la dirigenza della Fiom non si vuole scontrare apertamente con la burocrazia maggioritaria della Camusso: emblematico che all’indomani dello sciopero dei metalmeccanici Landini si sia dissociato da un’intera piazza, quella di Bologna, che ha contestato la Camusso (contestazione partita dagli operai della Ferrari e sostenuta dalla gran parte dei lavoratori lì presenti). Parallelamente, sul versante del sindacalismo di base, permangono sia una fortissima frammentazione tra le varie sigle (Usb, Cub, Cobas, Usi, Si.Cobas. ecc.) sia un prevalere di atteggiamenti settari e autoreferenziali, che ostacolano la costruzione di un fronte comune e di classe tra i lavoratori. Né le sigle del sindacalismo di base, né l’area alternativa alla maggioranza della Cgil “La cgil che vogliamo” sembrano oggi in grado di essere conseguenti rispetto alle necessità di aggregazione e di lotta di cui la classe lavoratrice avrebbe bisogno in questa fase. Occorre coordinarsi in una battaglia interna a tutti i sindacati per superare i limiti delle rispettive dirigenze e lavorare per una vera democrazia sindacale che restituisca ai lavoratori il ruolo principale in ogni sindacato, fuori da ogni leaderismo di questo o quel dirigente, fuori da ogni opportunismo di piccoli o grandi burocrati. Occorre organizzarsi in ogni sindacato nella consapevolezza che è sempre più urgente la costruzione di un unico sindacato di classe, che sia realmente rappresentativo delle ragioni dei lavoratori e che faccia della contrapposizione tra capitale e lavoro l’asse strategico del suo agire. Giudichiamo positivamente il fatto che, così come stiamo facendo noi in Cgil, anche nel sindacalismo di base i lavoratori si stanno organizzando per superare l’attuale frammentazione al fine di costruire quel sindacato di classe che ancora manca ai lavoratori (è il caso, ad esempio, di Unire le lotte – Area Classista Usb: si veda il loro sito www.sindacatodiclasse.org). Sul versante delle lotte occorre superare frammentazioni e settarismi organizzando un coordinamento dei lavoratori e dei delegati ovunque collocati per costruire le lotte nei posti di lavoro e nei territori, anche rompendo le regole divisorie dettate dalle burocrazie sindacali. Occorre uno sciopero generale prolungato Non è tempo di mezze misure. La classe padronale concentra le sue energie nel tentare di dissanguare la classe lavoratrice. I lavoratori non possono permettersi di perdere nemmeno una sola battaglia: il rischio è quello di subire una sconfitta di dimensioni storiche, per riprendersi dalla quale saranno necessarie lotte ancora più dure. È quindi necessario rilanciare da subito, in tutti i luoghi di lavoro, la campagna per lo sciopero generale, per l’occupazione e la nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo operaio delle fabbriche che chiudono e licenziano, per la costruzione di comitati di lotta territoriali, nazionali e, in prospettiva, internazionali. Solo un’azione di massa, che sfoci in un grande sciopero generale prolungato, in un’azione coordinata con gli altri sindacati in Europa, può oggi ribaltare i rapporti di forza a vantaggio della classe lavoratrice. Come ci insegnano le grandi mobilitazioni che scuotono il Mediterraneo ed anche le lotte che si stanno svolgendo in Europa, solo una lotta ad oltranza può costringere governo e padronato alla resa e aprire la strada a una vera alternativa di classe, anticapitalista, al dominio del capitale. Per contatti:areaclassistacgil@gmail.com |